Il reinserimento nel circuito economico-finanziario dell’impresa dei proventi del reato di estorsione conseguiti dall’imprenditore in danno dei propri dipendenti integra la fattispecie di reato di autoriciclaggio continuato di cui all’art. 648 ter 1. c.p. e comporta la responsabilità dell’ente ex art. 25 octies D.Lgs. 231/01.
La Seconda Sezione Penale della Corte di Cassazione, con sentenza n. 25979/2018, ha per tali ragioni rigettato il ricorso avverso il provvedimento del Tribunale del Riesame che aveva confermato il decreto di sequestro preventivo del Giudice per le Indagini Preliminari disposto sui beni della legal entity ai sensi del D.Lgs. 231/01.
Nel caso di specie l’imprenditore risultava indagato per estorsione e autoriciclaggio per avere, con minaccia di non assunzione o di licenziamento, costretto una molteplicità di lavoratori dipendenti ad accettare retribuzioni inferiori a quelle risultanti dalle buste paga. I proventi ingiusti conseguiti con l’estorsione sarebbero stati dagli indagati e della società rinvestiti in attività economiche ed utilizzati per retribuire in nero i dipendenti legati loro da particolare rapporto di fiducia.