Dal 6 febbraio 2016 è in vigore il d.lgs. n. 8/2016 che ha riscritto l’art. 2, comma 1 bis, del d.l. n. 463/1983, convertito, con modifiche, nella legge n. 638/198, introducendo una novità nell’ambito della legislazione del lavoro: l’omesso versamento delle ritenute INPS previdenziali ed assistenziali per un importo annuo inferiore ad euro 10.000 non è più reato.
La condotta di omesso versamento delle ritenute INPS fino all’importo di euro 10.000 è stata, quindi, depenalizzata ed oggi è soggetta alla sanzione amministrativa pecuniaria da euro 10.000 a euro 50.000.
Resta salva la causa di esclusione della responsabilità, penale o amministrativa, laddove il datore di lavoro provveda al versamento delle ritenute entro tre mesi dalla contestazione o dalla notifica dell’avvenuto accertamento della violazione.
In rispetto al principio del favor rei, le disposizioni che sostituiscono sanzioni penali con sanzioni amministrative si applicano anche alle violazioni commesse anteriormente alla data di entrata in vigore del decreto (6 febbraio 2016), sempre che il procedimento penale non sia stato definito con sentenza o decreto divenuti irrevocabili. Laddove sia già intervenuta una sentenza di condanna passata in giudicato per un omesso versamento di ritenute INPS per un importo inferiore ad euro 10.000, l’imputato potrà fare istanza al Giudice dell’esecuzione affinché, in applicazione dell’art. 673 c.p.p., proceda a revocare il provvedimento di condanna e a dichiarare che il fatto non è più previsto dalla legge come reato.
Si noti, peraltro, che l’art. 8 d.lgs. n. 8/2016 prevede che il Giudice dell’esecuzione provveda ex art. 667, co. 4, c.p.p. con ordinanza senza formalità successivamente notificata all’interessato e comunicata al pubblico ministero.
Più interessante, infine, la previsione di cui all’art. 8, co. 3, d.lgs. 8/2016, in cui il legislatore ha previsto che: ”Ai fatti commessi prima della data di entrata in vigore del presente decreto non può essere applicata una sanzione amministrativa pecuniaria per un importo superiore al massimo della pena originariamente inflitta per il reato, tenuto conto del criterio di ragguaglio di cui all’articolo 135 del codice penale. A tali fatti non si applicano le sanzioni amministrative accessorie introdotte dal presente decreto, salvo che le stesse sostituiscano corrispondenti pene accessorie”.
Al fine, quindi, di evitare un corto circuito del sistema, che avrebbe rischiato di entrate in una contraddizione in termini, il legislatore ha precisato che le sanzioni amministrative pecuniarie oggi previste non possono trovare applicazione se più gravi della pena (reclusione fino a tre anni e multa fino a euro 1.032,00) comminata dalla norma penale, oggi depenalizzata, in vigore al tempo del fatto. Il ragguaglio dovrà essere fatto considerando 250,00 euro per ogni giorno di pena detentiva.