Il Giudice per le Indagini Preliminari del Tribunale di Taranto ha sollevato la questione di legittimità costituzionale dell’art. 3 del D.L. 4 luglio 2015, n. 92, recante “Misure urgenti in materia di rifiuti e di autorizzazione integrata ambientale, nonché per l’esercizio dell’attività di impresa di stabilimenti industriali di interesse strategico nazionale” per contrasto con gli artt. 2, 3, 4, 32 co. 1, 35 co. 1, 41 co. 2 della Costituzione.
La norma di cui al D.L. 92/2015 è stata introdotta dal Legislatore, come noto, per consentire la prosecuzione dell’attività produttiva di impianti di interesse strategico nazionale che siano stati sottoposti a sequestro preventivo (art. 321 c.p.p.) per reati contro la sicurezza sul lavoro. La prosecuzione dell’attività è subordinata alla necessità che l’azienda predisponga un piano di adeguamento degli impianti alla norma vigente.
Fin da subito, si è ritenuto che la finalità dell’Esecutivo fosse meramente quella di vanificare gli effetti del recente sequestro a cui era stata sottoposta l’ILVA di Taranto in relazione ad un incidente mortale sul lavoro. Stessa situazione si era già verificata nell’anno 2012, con il precedente decreto “salva ILVA” di cui al D.L. 3 dicembre 2012, n. 207, predisposto dall’Autorità Giudiziria nell’ambito del maxi-procedimento (avente forte risonanza mediatica) orginatosi dall’indagine “ambiente svenduto” e approdato in questi giorni (come riportato su tutte le testa giornalistiche più importanti a livello nazionale) al rinvio a giudizio di 47 imputati (clicca qui per la notizia ansa).
Nell’ordinanza del GIP di Taranto si precisano alcuni specifici punti di riflessione sul provvedimento.
Nel dettaglio, secondo l’ordinanza, è lo stesso GIP che ha emesso il provvedimento cautelare di sequestro preventivo degli impianti a dover disporne il dissequestro, non potendosi ritenere che gli effetti del D.L. 92/2015 si producano ipso iure, né che il Pubblico Ministero abbia competenza in tal senso.
Ulteriore punto centrale del decreto salva ILVA, rilevante sotto il profilo di illegittimità costituzionale dell’atto, attiene all’assenza di significativi controlli di carattere giurisdizionale o da parte di organi pubblici competenti che siano finalizzati a valutare la coerenza e bontà del piano di adeguamento alla normativa sulla sicurezza del lavoro.
Trattasi di una disciplina assai diversa da quella prevista nel primo decreto “salva ILVA” (D.L. n. 207/2012), dove la sospensione dell’effetto cautelare era subordinata al rispetto di un provvedimento amministrativo ad hoc (l’Autorizzazione Integrata Ambientale), che doveva essere adottato dall’azienda con la partecipazione di una pluralità di amministrazioni pubbliche e che risultava soggetto agli ordinari rimedi giurisdizionali.
Ecco quindi che il Legislatore del 2012 appare essere stato molto più equilibrato di quello contemporaneo, anche in considerazione del fatto che proprio il corretto contemperamento degli opposti interessi in gioco (salubrità ambientale e produzione e occupazione) avevano consentito alla Corte Costituzionale di respingere le censure di illegittimità costituzionale a suo tempo avanzate (cfr. Sentenza C. Cost. n. 85/2013).
Ad oggi, invece, il decreto salva ILVA del 2015 appare affetto da palesi deficit costituzionali.
Secondo il GIP di Taranto, questo secondo provvedimento si porrebbe in violazione dell’art. 2 Cost., determinando il sacrificio dei diritti inviolabili della persona, quali la vita e l’incolumità individuale dei lavoratori, dell’art. 3 Cost., risultando privilegiate le imprese di interesse strategico nazionale, dell’art. 4 Cost., norma posta a tutela delle condizioni di sicurezza negli ambienti di lavoro, dell’art. 32 Cost., venendo meno la tutela del bene della salute, dell’art. 41 co. 2 Cost., risultando l’attività realizzata “in modo da recare danno alla sicurezza, alla libertà ed alla dignità umana”.