La L. n. 68 del 22 maggio 2015 ha introdotto nel nostro ordinamento i c.d. ecoreati. E’ indubbio che la novella normativa, a lungo attesa, sia il frutto di una prassi giudiziaria sensibile al tema ambiente e di lungo periodo, posto che la legge ha trovato approvazione proprio poco dopo il deposito delle motivazioni delle sentenza della Suprema Corte di Cassazione sulla vicenda Eternit.
La riforma approvata dal Legislatore introduce nel Codice Penale un autonomo titolo “Delitti contro l’ambiente” (Libro II, Titolo VI-bis, artt. 452-bis-452-terdecies), prevedendo fattispecie di danno e di pericolo concreto e ampliando la rilevanza delle misure riparatorie e ripristinatorie.
L’inserimento dei delitti ambientali nel Codice Penale rappresenta la paradigmatica volontà legislativa di dare rilevanza centrale al bene ambiente come bene giuridico tutelato dalle norme incriminatrici. La severità con la quale si vuole punire le condotte lesive dell’ambiente e della salubrità ambientale trova testimonianza nella previsione di cornici edittali di pena elevate, che non consentono di prendere in considerazione l’applicabilità del nuovo istituto della non punibilità per particolare tenuità del fatto (art. 131-bis c.p.) e la delega in materia di pena detentiva domiciliare. Basti questo per valutare l’importanza di queste nuove fattispecie incriminatrici in materia ambientale.
Sulla scia del largo utilizzo fatto dal Legislatore degli ultimi anni degli strumenti lato sensu sanzionatori o para-sanzionatori, la nuova normativa prevede l’obbligo di ripristino dello status quo ante, divenuto obbligatorio per tutti i delitti ambientali, e la previsione di una speciale causa di estinzione del reato contravvenzionale consistente nell’adempimento delle prescrizioni specificamente imposte dall’autorità di vigilanza all’atto dell’accertamento della contravvenzione ambientale e accompagnato dal contestuale pagamento di una somma pari a un quarto del massimo dell’ammenda stabilita per la contravvenzione (nuovi articoli 318 bis, 318 ter, 318 quater, 318-sexies, 318-septies del D.Lgs. 152/2006, introdotti con L. 68/2015).
Nel dettaglio, la riforma ha introdotto al nuovo art. 452 bis c.p. il delitto di inquinamento ambientale: “E’ punito con la reclusione da due a sei anni e con la multa da euro 10.000 a euro 100.000 chiunque abusivamente cagiona una compromissione o un deterioramento significativi e misurabili: 1) delle acque o dell’aria, o di porzioni estese o significative del suolo o del sottosuolo; 2) di un ecosistema, della biodiversità, anche agraria, della flora o della fauna. Quando l’inquinamento è prodotto in un’area naturale protetta o sottoposta a vincolo paesaggistico, ambientale, storico, artistico, architettonico o archeologico, ovvero in danno di specie animali o vegetali protette, la pena è aumentata.”
La condotta illecita sanzionata dalla norma penale richiede che i fatti cagionanti l’offesa ambientale siano stati realizzati abusivamente, con inosservanza della normativa legislativa o regolamentare a tutela dell’ambiente ovvero con violazione delle disposizioni o provvedimenti finalizzati alla tutela di interessi diversi dall’interesse ambientale (per es. il paesaggio, o la salute etc.), quando però cagionino comunque un danno all’ambiente.
La compromissione o il deterioramento dell’ambiente devono essere misurabili. Ciò posto, appare chiaro come sia necessario eseguire una comparazione a posteriori tra lo stato dell’ambiente ante condotta illecita e lo stato di qualità dell’ambiente così come risulta dopo aver subito l’intervento di quell’azione abusiva da parte dell’autore del reato. In tal modo, la norma, nel descrivere l’evento, indica un metodo da seguire per l’accertamento del reato.
Accanto al reato di Inquinamento ambientale, rileva il nuovo delitto di disastro ambientale, che sostituirà, nella prassi giudiziaria, il c.d. disastro innominato ex art. 434 c.p.. La pena prevista è la reclusione da 5 a 15 anni, oltre alla pena accessoria della incapacità di contrattare con la Pubblica Amministrazione per le fattispecie di: inquinamento ambientale, disastro ambientale, traffico ed abbandono di materiale radioattivo, impedimento di controllo e traffico illecito di rifiuti (quest’ultimo già previsto all’interno del Codice dell’Ambiente).
Infine, merita di essere menzionata l’introduzione della confisca obbligatoria, anche per equivalente, delle cose che costituiscono il prodotto, il profitto del reato o che servirono a commetterlo, anche per il delitto di traffico illecito di rifiuti. E anche qui rilevano le condotte riparatorie, posto che la confisca è esclusa se l’imputato ha provveduto alla messa in sicurezza o alla bonifica e al ripristino dello stato dei luoghi.
Per taluni illeciti quali il disastro ambientale, l’attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti e per l’ipotesi aggravata di associazione per delinquere, la nuova legge introduce anche la confisca quale misura di prevenzione dei valori ingiustificati o sproporzionati rispetto al proprio reddito. In ipotesi di sentenza di condanna o di patteggiamento, il Giudice ordina il recupero e, se tecnicamente possibile, il ripristino dello stato dei luoghi, ponendo i costi a carico del condannato e delle persone giuridiche obbligate al pagamento delle pene pecuniarie in caso di insolvibilità del primo.
Da ultimo, significativa l’applicabilità del ravvedimento operoso. Dapprima previsto come causa di non punibilità, il ravvedimento opera oggi come circostanza attenuante per chi, prima della dichiarazione di apertura di apertura del dibattimento di primo grado, eviti che l’attività illecita sia portata a conseguenze ulteriori, provveda alla messa in sicurezza, alla bonifica o al ripristino dello stato dei luoghi ovvero collabori concretamente con l’Autorità per la ricostruzione dei fatti e all’individuazione dei colpevoli.