Ribaltando l’orientamento interpretativo fino ad ora seguito, la Suprema Corte di Cassazione ha statuito, con la sentenza n. 35571 depositata il 25 agosto 2015, che non si può subordinare la scarcerazione di un detenuto alla disponibilità materiale del braccialetto elettronico.
In Italia gli apparecchi elettronici messi a disposizione dal Ministero dell’Interno sono circa 2000 (per un costo complessivo, versato a Telecom, pari a circa 11 milioni di euro, dati Sole 24 Ore) e sono insufficienti a soddisfare la domanda. Così, i carcerati per i quali sussistano, a norme del codice di procedura penale, le condizioni di applicabilità della misura meno afflittiva degli arresti domiciliari vengono di fatto inseriti in “lista d’attesa” e rimangono in carcere.
La Corte di Cassazione, con la sentenza che si annota, ha ritenuto che subordinare la misura degli arresti domiciliari alla effettiva disponibilità del dispositivo elettronico è incostituzionale in quanto si realizza una immotivata disparità di trattamento tra persone che si trovano nelle medesime condizioni. In conclusione, si può anche rinunciare al braccialetto elettronico e il giudice deve disporre la misura degli arresti domiciliari laddove – con o senza braccialetto – vi siano esigenze cautelari che non richiedano il carcere per essere contrastate.