Con la sentenza n. 35387/2016 la Terza Sezione Penale della Corte di Cassazione ha confermato la condanna per il reato di frode nell’esercizio del commercio di cui all’art. 515 c.p. nei confronti dell’amministratore unico e di altri concorrenti nel medesimo reato per aver commercializzato e posto in vendita arance falsamente indicate come provenienti da agricoltura biologica.
La condotta di chi appone sui prodotti alimentari delle etichette idonee ad indurre in errore il consumatore, facendogli credere di acquistare un prodotto di qualità superiore rispetto alla media (nel caso di specie erano state apposte sulle arance le etichette di altra ditta che era effettivamente autorizzata alla certificazione di produzione biologica) integra il delitto di frode in commercio anche laddove il prezzo di vendita sia pari a quello del prodotto convenzionale.
Il reato di cui all’art. 515 c.p. (di mera condotta), infatti, punisce colui che nell’ambito di un’attività commerciale consegna all’acquirente una cosa diversa rispetto a quella dichiarata, a prescindere dal perseguimento di un profitto e dal costo. Per la Suprema Corte, quindi, il “falso biologico” integra il delitto anche se all’acquirente è stata consegnata una merce avente un costo di produzione pari o superiore rispetto a quello dichiarato.
La società le cui etichette erano state impropriamente utilizzate ha ottenuto il risarcimento del danno, essendosi costituita parte civile nel processo penale.